Il 14 settembre, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha annunciato la rimozione di 53.000 annunci da piattaforme di affitti brevi, come Airbnb, per mancato rispetto delle nuove regole entrate in vigore a luglio 2025. L’obiettivo è chiaro: riportare sul mercato residenziale migliaia di alloggi oggi riservati ai turisti, per offrire nuove soluzioni abitative a residenti e giovani, sempre più colpiti dalla crisi dei prezzi.
La stretta è scattata a seguito dell’introduzione del registro nazionale obbligatorio, attivo dal 1° luglio 2025. Senza registrazione, è vietato pubblicare annunci su siti di affitti brevi. Le piattaforme, dunque, sono state costrette a eliminare le inserzioni non in regola.
La regione più colpita è stata l’Andalusia, meta turistica per eccellenza, con oltre 15.000 annunci cancellati. Seguono le Isole Canarie e la Catalogna. La Spagna si conferma così in prima linea nella battaglia globale contro l’overtourism e i suoi effetti sul mercato immobiliare. Il cosiddetto “effetto Airbnb” preoccupa sempre di più: riduzione dell’offerta abitativa, aumento dei prezzi e snaturamento dei quartieri.
Nonostante le smentite della piattaforma, città di tutto il mondo stanno cercando di arginare l’impatto degli affitti a breve termine. Ma anche se Airbnb sta danneggiando il mercato e le comunità locali, misure come quella spagnola possono davvero fermare un colosso multimiliardario ormai radicato nel tessuto turistico globale?
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